REcensione da "scienze e pace"

Mercoledi, 28 novembre 2007

Scrivere di Carcere. Una sperimentazione di didattica interdisciplinare

recensione di Nadia Davini

La difficoltà di sapere, di capire, di scoprire che cosa avviene dietro le mura di una carcere, dentro le celle, dentro alle persone che in quella struttura devono trascorrere il loro tempo, più o meno lungo. È stato questo il punto da cui sono partiti Bruno Bini e Giuseppe Sica, i due autori del libro Scrivere di Carcere, aiutati in questo lavoro dal Centro per i Diritti Umani, dal Centro Interdisciplinare Scienza per la Pace e dal progetto “Carcere & Comunità” di Pisa.

Leggere queste pagine è come effettuare un viaggio attraverso la sofferenza legale e così conoscere il dolore che l’umanità infligge ad un gruppo particolare di uomini, i criminali, in realtà infliggendolo a se stessa. La storia in cui si articola il libro è semplice, fin troppo scontata, magari poco attenta ad identificare concretamente la protagonista, una psicologa carceraria. Ma è proprio questo l’obiettivo degli autori: non interessano tanto i protagonisti, la loro vita oltre il lavoro, la quotidianità a cui partecipano. Piuttosto è uno strumento ben strutturato, atto a dimostrare che mentre aumenta il disagio sociale, lo sviluppo socio-economico si preoccupa unicamente di incrementare le misure repressive, senza cioè più alcuna delle velleità “rieducative” a cui ci ha abituato tanta retorica penitenziaria. Attraverso la reclusione non si combatte più la delinquenza, bensì le si dà forma e la si usa: l’anima del carcere è tortura. La denuncia di questo libro quindi non si ferma di fronte alle soglie del carcere, ma ci fa conoscere dal di dentro la realtà estrema dell’ingiustizia ordinaria. Il popolo delle carceri, drappello invisibile di quell’esercito in rotta di uomini battuti da una modernità che li sospinge ai margini della dignità e del lecito, attraverso le parole di Scrivere di Carcere, sottolinea i limiti di una concezione stravolta del diritto che ci costringe a fare i conti con i frutti avvelenati di una società malata di giustizialismo.

Gli autori di questo libro sono riusciti a far trapelare in ogni sua forma la crudeltà e la violenza che albergano all’interno della struttura carceraria. E queste demoliscono, anno dopo anno, quella che si potrebbe definire l’identità sociale del detenuto. In carcere il tempo si dilata, gli spazi si restringono; prevalgono la solitudine e l’emarginazione; la realtà è allucinante, piena di desolazione. Si sente un fortissimo bisogno del detenuto di amare e di essere amato: ed ecco che salta fuori il problema della repressione sessuale nelle carceri. Questione totalmente dimenticata dalla legge, dai giornali, dai politici; realtà che viene crudelmente descritta in quello che è il capitolo più struggente del libro. Il carcere è un momento di vertigine, tutto sembra lontano: le persone, i volti, le aspirazioni, le abitudini, i sentimenti che prima rappresentavano la vita, schizzano all’improvviso da un passato che appare subito remoto, lontanissimo, quasi estraneo. Viene rinchiuso il corpo del carcerato, ma anche la sua stessa volontà, i suoi desideri. Tutto è deciso e gestito da altri. La sessualità, invece, è l’unico aspetto della vita di relazione dei detenuti che non risulta normativizzato da disposizioni ministeriali. Diventa un tormento perché si ha bisogno di toccare, ma toccare se stessi, ad un certo punto, è insufficiente; le riviste pornografiche non sono più soddisfacenti. È qui che scatta la necessità impellente di cercare un contatto fisico con gli altri uomini, le uniche persone presenti nella struttura. Ci sono giovani che si prostituiscono per una dose di eroina o per un pacchetto di sigarette e ci sono quelli che vengono ripetutamente violentati dagli anziani. Ecco che il carcere diventa malattia e sindrome sociale. Il tono del libro è sempre quello della denuncia in ogni sua pagina: richiamo e critica che non si fermano alla semplice analisi delle condizioni dei detenuti, ma si allargano anche alla corruzione che aleggia nei piani alti del Palazzo e nello stesso sistema carcerario. Nessun politico in Italia pensa che parlare di prigioni meno rigide possa far guadagnare voti. Non c’è il minimo interesse da parte dello Stato a rieducare effettivamente i detenuti, aiutarli nel ricostruire i rapporti sociali e di lavoro, assisterli una volta che torneranno nella società e nella vita di tutti i giorni. È un libro importante e utile, che dice in modo chiaro e deciso che in carcere ci si va perché si è puniti e non per essere puniti.

Scrivere di Carcere Una sperimentazione di didattica interdisciplinare

a cura di Centro per i diritti umani; Cisp, Centro Interdisciplinare Scienze per la Pace; Progetto “Carcere & Comunità”,

edizioni Plus, Pisa 2007, euro 16,00.