Bertinotti: l’amnistia indispensabile 

 

In fondo alla metropoli. Il Casale Rosso sta proprio in fondo alla città, nella periferia est di Roma, assediata dal traffico, risanata a pezzi e a fatica da amministrazioni virtuose ma scippate dalle finanziarie dell’ultimo ventennio. Una piccola folla aspetta nel piazzale l’arrivo delle autorità per l’inaugurazione di una biblioteca molto particolare. Sulla facciata del Casale uno striscione porta il nome di Giulio Salierno, ex picchiatore fascista, ex legionario in Francia, ex detenuto che in carcere, con compagni di cella algerini che aspettavano la tortura o la condanna a morte, ha trovato una coscienza civile «da vero comunista», diceva, così ricorda chi lo ha conosciuto. E in carcere ha iniziato a studiare, diventò ricercatore, sociologo, professore, sempre critico verso l’istituzione totale del carcere, oppure del manicomio. Nino Marazzita lo ricorda al microfono nel palchetto improvvisato nel piazzale, sotto il sole della campagna romana. Ricorda la vita travagliata e le missioni «impossibili» di Salierno con Basaglia, con Terracini, padre costituente. Fino all’ultima impresa con le migliaia di detenuti (sono 6900) che in varie carceri si sono riuniti sotto l’egida dell’associazione Papillon. E’ loro il progetto che porta il nome di Salierno, collaboratore anche di Liberazione, scomparso da pochi mesi: una biblioteca gestita da detenuti ed ex, con quasi diecimila volumi, catalogati con criterio dopo essere stati donati da singoli ed enti.

 

«Il tam-tam, anche grazie a una trasmissione tv, ha funzionato», spiega orgoglioso agli ospiti Vittorio Antonini, portavoce storico della Papillon. I locali sono del comune e la biblioteca è stata inserita già nel circuito dell’Università La Sapienza e presto sarà inserita in quello della Provincia di Roma che supporterà un altro sogno di Salierno, «un centro di documentazione internazionale su ciò che è stato prodotto su e dal carcere», continua Antonini accompagnando le autorità nei locali che ospiteranno, da lunedì, un’«esperienza replicabile». Su una parete la gigantografia di una prima di questo giornale. Nel piazzale, tra il pubblico, un uomo ha tatuato su un polpaccio: “Se non conosci galera non apprezzi libertà”. La biblioteca di Papillon, prima del genere oltre le sbarre, «è la prima in un municipio di 200mila persone che non ha nemmeno un cinema», segnala Armando Morgia, consigliere municipale del Prc.

 

«E’ l’incontro di due debolezze, di due marginalità», dirà Fausto Bertinotti, presidente della Camera dei deputati, presentando quella che ritiene una «vicenda molto ricca». Ricca dei desideri di una periferia fisica, urbana, e della marginalità del carcere, «confine estremo della società». Insieme «fanno un centro, un progetto di liberazione di cui il libro è un paradigma» visto che permette a tutti «di andare oltre ciò che si è». E’ il «presidente di tutti» a parlare. Così Bertinotti intende il suo mandato: «La Camera - spiega - è la rappresentanza del popolo». Qualcosa di più della rappresentanza delle forze politiche dell’Aula. Compito delle istituzioni, aveva premesso, proprio quello di mettere in comunicazione le periferie. «Comprendere gli ultimi, tutti gli ultimi, nella costruzione di un nuovo patto di civiltà». Ecco come prende corpo, in un caldo pomeriggio in fondo alla città, la necessità dell’amnistia, «atto di clemenza indispensabile», «moltiplicatore di energie per fare quello che altrimenti non sarebbe possibile, non solo liberazione dalla pena aggiuntiva del carcere». Sulla stessa linea Enrico Gasbarra, presidente della Provincia: «L’amnistia diventa una possibilità e non un’elemosina quando le istituzioni percorrono insieme una strada di civiltà abbandonando il cammino dell’egoismo».

 

Senza amnistia e senza ripensarsi, il sistema penitenziario resta quello che diceva Foutcault, «officina del delitto», insiste Marazzita. Accanto a lui, il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi, non si nasconde le difficoltà: «Ci sono condizioni nuove (una coalizione e un governo che la vogliono) ma non so se sono sufficienti». E poi ci sono i conti da fare con la «pigrizia mentale e politica della burocrazia», continua Manconi, che è anche stato garante dei detenuti nella prima giunta Veltroni, rivelando l’assenza di tre degli artefici del progetto, tre detenuti che - “semplicemente” - non hanno avuto il permesso con buona pace delle finalità costituzionali delle galere, il reinserimento.

Per conoscere il nome del successore di Manconi nell’ufficio del garante dei detenuti c’è da aspettare pochi giorni. Lo assicura Dante Pomponi, neo-assessore, del Prc, alle Periferie del Campidoglio. E’ venuto ad assicurare che seguirà le orme di chi lo ha preceduto «sulla strada della ricreazione delle comunità, per portare le periferie al centro. E’ a questo che servono le librerie (il suo assessorato ha sostenuto l’apertura di decine di esperienze del genere, ndr) e biblioteche come quelle di Papillon». Lapidario Antonini, alle spalle reati da “anni di piombo” e un presente come animatore dell’associazionismo dei carcerati, che la definisce semplicemente «un ponte».

 

Liberazione, 24 giugno 2006

da Papillon